domenica 20 giugno 2010

Situazione disumana per le carceri a Pistoia. Un documento del "Gruppo di riflessione politica Jaques Maritain denuncia il sovraffollamento.


PISTOIA. “Il carcere pistoiese, che ha una capienza di 74 posti letto, ospita attualmente oltre 150 detenuti. All’interno l’aria è irrespirabile. Alcuni dormono nel sottoscala, altri su materassi stesi nel parlatorio. Le attività di formazione, seppure imposte dalla legge, vengono svolte solo parzialmente. I fondi previsti dalla legge Gozzini per finanziare le attività di reinserimento dei carcerati, mai utilizzati negli anni, si sono accumulati”.
E’ un passo centrale dal documento (“Le carceri, un dramma che ci tocca da vicino”) predisposto dal gruppo che, in ambito cattolico a Pistoia, si occupa di riflessione sulla politica: guidato da mons. Giordano Frosini e intitolato al pensatore Jacques Maritain, il gruppo ha di recente prodotto un intenso documento sulla “drammatica situazione delle carceri italiane” che “non sembra scuotere l’opinione pubblica del mostro paese assorbita da tanti altri problemi e, soprattutto, sempre più allineata sugli schemi di una mentalità individualistica e, alla resa dei conti, persino egoistica”.
Fatta propria la premessa di quanto prescrive, a proposito di pene carcerarie, l’art. 27 della nostra Costituzione (“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”), il documento evidenzia, sul piano nazionale, “lo scandalo del sovraffollamento delle nostre carceri” e si sofferma sul dramma dei suicidi in carcere (72 nel 2009: 6 ogni mese).
I prigionieri suicidi sono, in particolare, tra le persone in attesa di giudizio.
Il capitolo centrale è tutto dedicato alla situazione pistoiese nella cui casa circondariale, dal 1985, opera l’associazione “Il Delfino” con una assistenza costante effettuata da volontari in appoggio alla attività del cappellano.
Molti i detenuti, abbandonati dalle famiglie, privi di mezzi di sostentamento e assistiti nelle piccole necessità quotidiane (schede telefoniche e fornitura di biancheria e di beni di prima necessità).
Cronica”, anche a Pistoia, l’assenza di personale di sorveglianza e “pessima” la situazione finanziaria del carcere: i volontari – è scritto nel documento – “non si peritano a definire disumana la situazione carceraria pistoiese” con immagini “più simili alle galere dei secoli passati che a moderni istituti di rieducazione”.
Nell’ultimo capitolo (“Le nostre conclusioni”) il “gruppo di riflessione politica Jacques Maritain” sostiene che non sono necessari nuovi edifici carcerari.
6 gli spunti su cui costruire proposte: adeguare gli edifici esistenti (“L’ASL dovrebbe verificare se le normative sugli spazi minimi di vivibilità siano rispettati”); monitorare l’efficienza della situazione carceraria; finanziare le attività di professionalizzazione (“Come quelle svolte dalla cooperativa In cammino, ripristinando le borse di lavoro e concedendo vantaggi economici alle aziende che assumeranno ex carcerati in prova”); investire nel recupero e nella riabilitazione (“attraverso le nuove misure della giustizia ripartiva e la mediazione penale”); realizzare una regia complessiva tra gli enti locali (“per evitare l’attuale frastagliamento di iniziative e progetti”); realizzare il progetto (“Una casa per amico”) proposto dall’associazione ”Il Delfino” che “contenga alcune unità abitative per utilizzare i regimi di semilibertà finalizzandoli a un effettivo reinserimento”.

Riportiamo di seguito il documento completo:

Le carceri, un dramma che ci tocca da vicino
(documento del "Gruppo di riflessione politica Jacques Maritain", Pistoia giugno 2010)

La drammatica situazione delle carceri italiane non sembra scuotere l’opinione pubblica del nostro paese, assorbita da tanti altri problemi e, soprattutto, sempre più allineata sugli schemi di una mentalità individualistica e, alla resa dei conti, perfino egoistica. Anche i responsabili della cosa pubblica brillano normalmente per la loro assenza e il loro disinteresse. Qualche sussulto in occasione di certi avvenimenti straordinari, come, per esempio, il suicidio di qualche carcerato (siamo già a 31 nell’anno in corso), ma poi ritorna tutto come prima.
La situazione interessa naturalmente anche le carceri della nostra città. Abbiamo riflettuto a fondo su quanto sta succedendo intorno a noi, vicino a noi, ascoltando attentamente il racconto dei pochi interessati, anch’essi demoralizzati per la generale mancanza di attenzione e, dopo matura riflessione, siamo venuti nella determinazione di denunciare apertamente uno stato di cose del tutto indegno di un paese civile, il quale, fra l’altro, ha ancora l’ardire di professarsi cristiano. I carcerati, nonostante le loro colpe, rimangono uomini e, come tali devono essere trattati. Per coloro che si riconoscono nell’ispirazione cristiana, non ci dovrebbe essere bisogno di richiami, tanto chiaro è l’insegnamento evangelico e tanto limpida è la tradizione plurisecolare della comunità cristiana. La categoria degli ultimi non si esaurisce certamente nei carcerati, ma certamente li comprende e non soltanto agli ultimi posti.
C’è poi anche il dettato costituzionale che, nell’art. 27, ripete a chiare lettere: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Parole che fanno onore ai nostri costituenti, ma che suonano severa condanna per l’intera nostra società, vertici e base. Se la persona condannata viene privata della libertà, questo non significa affatto che deve essere anche spogliata della propria inalienabile dignità; in più non si deve mai dimenticare che il periodo da trascorrere in carcere deve essere finalizzato alla rieducazione e a un opportuno e dignitoso reinserimento nella società. Nelle attuali condizioni, non sembra proprio che ci si interessi dell’una e dell’altra cosa. Una inadempienza che merita la nostra più severa condana.

DISUMANO AFFOLLAMENTO
Sullo scandalo nazionale del sovraffollamento delle nostre carceri si possono fare alcune interessanti considerazioni. Anzitutto va detto che esso non dipende sempre dalla mancanza di spazi carcerari, quanto piuttosto dalla carenza di personale e dalla sua discutibile utilizzazione.
Anche la comoda attribuzione al diffuso reato di immigrazione clandestina non regge del tutto. Se si confrontano infatti i dati Istat dal 1990 al 2005, i permessi di soggiorno sono passati da 436 mila a 2.286 mila, mentre i tassi di criminalità sono rimasti pressoché invariati (www.lavoce.info/articoli/pagina1001534-351.html).
A questo proposito si deve affermare che l’attuale nostra normativa è gravemente lacunosa e non tiene conto della differenza tra un lavoratore stabilizzato e regolarizzato che perde il posto di lavoro e lo straniero appena arrivato che non ha mai avuto un regolare permesso di soggiorno.
Dell’aumento dei carcerati non può nemmeno essere incolpato l’indulto, misura straordinaria nell’estate del 2006, finalizzato a ridurre il sovraffollamento delle carceri: i detenuti usciti sono stati 27.965 e a tre anni di distanza i recidivi sono stati 8.477. Un successo se si considera che in media normalmente torna dietro le sbarre il 68%. (www.web.vita.it/news/view/94148).
Si deve anche ricordare l’esistenza di alcuni fattori che hanno prodotto l’aumento ingiustificato della popolazione carceraria: inasprimenti delle pene anche per reati minori e detenzione per quantità minime di hashish e marijuana (un reato che in molti paesi non richiede la carcerazione, ma solo un periodo di volontariato).

I RIPETUTI SUICIDI
La drammatica situazione delle nostre carceri è gravemente documentata dai suicidi e dai tentativi di suicidio, che si susseguono a ritmo frequente. Nel 2009 i carcerati suicidi sono stati 72, specie tra persone in attesa di giudizio ritenute coinvolte in fatti delittuosi. Il suicidio coinvolge sia giovani incensurati in attesa di giudizio, sia detenuti anziani che si vedono preclusa la possibilità di riscattarsi. (www.ristretti.it_Dossier: “Morire in carcere”).

LE CARCERI DI PISTOIA

Nella nostra città la condizione carceraria non si presenta migliore rispetto alla situazione generale. Come in molti istituti circondariali, vi è anche a Pistoia una realtà di sovraffollamento e nelle celle i detenuti sono stipati in pochi metri quadrati. Gli enti pubblici a livello comunale adottano interventi frammentari e talvolta duplicati nel tentativo di rispondere ai bisogni della popolazione carceraria e delle famiglie. Dal 1985 un’assistenza costante viene svolta dall’associazione “Il Delfino”, formata da volontari in appoggio all’attività del cappellano del carcere. Questi descrivono la vita dei detenuti nel carcere pistoiese con toni preoccupati e preoccupanti. In causa è anzitutto la carenza degli spazi.
All’interno del carcere vi sono due tipologie di celle: le piccole di circa sette metri quadrati, che potrebbero ospitare solo una persona ed invece ne contengono tre; le più grandi di circa ventiquattro metri quadrati, che potrebbero ospitare fino a sei persone, ed invece ne contengono nove. All’interno, l’aria è irrespirabile. Il carcere pistoiese, che ha una capienza di 74 posti letto, ospita attualmente oltre 150 detenuti. Alcuni dormono nel sottoscala, altri su materassi stesi nel parlatorio. Le attività di formazione, seppure imposte dalla legge, vengono svolte solo parzialmente. La legge Gozzini del 1975 prevedeva uno stanziamento per finanziare le attività di reinserimento a favore dei carcerati che al termine del periodo di detenzione si apprestano ad essere reinseriti nel mondo sociale e lavorativo. Questi fondi, mai utilizzati negli anni, si sono accumulati. L’attuale ministro della giustizia Alfano ha arbitrariamente deciso di utilizzare questa somma per costruire nuove carceri.
Le misure alternative alla detenzione sono le più efficaci per recuperare gli individui alla convivenza civile: occorrono per questo interventi di assistenza e reinserimento. A Pistoia non esiste una struttura idonea ad accompagnare e assistere le persone che potrebbero usufruire delle misure alternative alla detenzione. Il carcerato, quando esce in permesso e i familiari in visita, sono alloggiati presso la foresteria approntata dall’associazione “Il Delfino”. Tuttavia, ciò non consente di far fronte alle esigenze di chi potrebbe accedere alle misure alternative ed è quindi costretto a prolungare il soggiorno dietro le sbarre.
Molti detenuti, abbandonati dalle famiglie, non hanno alcun mezzo di sostentamento e vengono assistiti nelle loro piccole necessità, come l’uso di schede telefoniche, la fornitura della biancheria e di qualche altro bene di prima necessità. Si sostiene per questo sarebbe auspicabile un alleggerimento della detenzione per i reati minori e un maggior ricorso alle pene alternative, nella convinzione che le pene alternative danno migliori garanzie di reinserimento.
La difficoltà di convivenza nelle celle ristrette è aggravata dalla promiscuità tra condannati in attesa di giudizio, persone con patologie mentali, tossicodipendenti, alcolisti ed extracomunitari di varie culture. Questa promiscuità produce enormi difficoltà di dialogo e comprensione. A questo si aggiunge la cronica carenza di personale di sorveglianza che causa ulteriore blocco delle attività previste, comprese quelle ricreative minime. Degna di essere segnalata è anche la pessima situazione finanziaria dell’ente carcerario e degli altri enti preposti. In passato vi sono stati periodi nei quali è stato possibile assistere i detenuti con attività formative, anche molto qualificate, ma l’attuale affollamento rende tutto impossibile. I volontari non si peritano a definire “disumana” la situazione carceraria cittadina. Una situazione che ci ripresenta immagini più simili alle galere dei secoli passati, piuttosto che a moderni istituti di rieducazione, quali dovrebbero essere quelli di un paese che si dichiara civile. Al termine delle nostre riflessioni, ci permettiamo di formulare alcune proposte, sulle quali intendiamo richiamare l’attenzione delle autorità, dei volontari e tutte le persone di buona volontà.

LE NOSTRE CONCLUSIONI
Secondo noi, non sembrano necessari nuovi edifici carcerari. Occorre piuttosto reclutare giovani capacità che seguano i detenuti in progetti di assistenza e reinserimento.
Per questo occorre:
- Adeguare gli edifici esistenti, per renderli umanamente vivibili. La ASL dovrebbe verificare se le normative riguardanti gli spazi minimi di vivibilità siano rispettati.
- Monitorare l’efficienza della situazione sanitaria.
- Finanziare le attività di professionalizzazione come quelle svolte dalla cooperativa no-profit “In cammino” (cooperazione di tipo B), ripristinando le “Borse lavoro” della Provincia di Pistoia e concedendo vantaggi economici alle aziende che assumeranno ex- carcerati in prova.
- Investire nel recupero e nella riabilitazione attraverso le nuove misure della “Giustizia riparativa e la mediazione penale”.
(La giustizia riparativa è una possibile risposta al reato che coinvolge il reo e -direttamente o indirettamente- la comunità e/o la vittima, nella ricerca di possibili modi di riparare attivamente agli effetti dell’illecito e delle sue conseguenze. La mediazione penale è definita dal Consiglio d’Europa come il “procedimento che permette alla vittima e al reo di partecipare attivamente, se vi consentono liberamente, alla soluzione delle difficoltà derivanti dal reato con l’aiuto di un terzo indipendente (mediatore)”. Si ricorda che il 26 febbraio 2002 è stata istituita una commissione per definire le linee guida di questo provvedimento per l’adozione in Italia).
- Realizzare una regia complessiva tra gli enti locali per evitare l’attuale frastagliamento di iniziative e progetti, adottando una “vera” integrazione delle risorse umane e finanziarie presenti sul territorio. Costruire una programmazione unitaria degli interventi e una ottimizzazione delle risorse producendo iniziative efficaci. Nel 2005 la Conferenza plenaria dei Sindaci delegò il coordinamento delle azioni all’Amministrazione Provinciale, ma tale i iniziativa positiva è ancora oggi disattesa.
- In ultimo l’associazione Il Delfino propone il progetto “Una Casa per Amico”, che sia un centro di tutoraggio e contenga alcune unità abitative per consentire di utilizzare i regimi di semilibertà finalizzandoli all’effettivo reinserimento. Si tratta di una soluzione abitativa temporanea, un tentativo di risposta al bisogno di coloro che usufruiscono degli arresti domiciliari. L’alloggio dovrebbe essere abbinato alla presenza di tutori che accompagnano la persona in un percorso di effettivo reingresso nella società. Questo gruppo di riflessione politica è in grado di annunciare che, col contributo di persone attente e generose, questo progetto potrà essere presto realizzato.

fonte: Ufficio Comunicazioni Sociali della Diocesi di Pistoia

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