domenica 27 novembre 2011

"Abitare la Politica". L'intervento di Renata Fabbri al congresso provinciale Udc di Pistoia


QUARRATA_  Durante il congresso provinciale Udc di Pistoia è tornata a far sentire la propria voce  la quarratina Renata Fabbri, ex capogruppo consiliare della Margherita nella prima legislatura targata “Sabrina Sergio Gori” (dal 2000 al 2007), già consigliere comunale per la Dc, tra i fondatori del Pd a Quarrata e nell’ultimo periodo vicina alle idee dell’Unione di Centro di Pistoia dove è stata riconfermata nel coordinamento provinciale.
Alle ultime elezioni regionali del 2010 ha ricoperto il ruolo di capolista  per il Collegio Provinciale di Pistoia. Attualmente è presidente di Agora-Circolo di Cultura politica di Quarrata.
Renata Fabbri ha portato il suo contributo intervenendo nel corso del dibattito.

Ecco il testo integrale dell’intervento:

Cari amici,
nonostante non sia nuova all'interesse per la politica, intervengo nel dibattito  congressuale con una certa emozione. Di congressi non se ne attraversano molti da un po' di tempo in qua.
L'occasione è preziosa perché  permette un aperto, franco  e spero proficuo confronto sull'esperienza e sul senso  del fare politica.

Senza incedere nella malinconica nostalgia,  l'altra sera, su FB ho trovato un amico virtuale, - ma con nome e cognome -, che aveva postato  da Youtube “Bianco Fiore”, l'inno della Democrazia Cristiana.
Scritto da don Dario Flori, detto “Sbarra” e musicato dal maestro Trinci. Un omaggio, mi rendo conto a insaputa dell'artefice, a Quarrata che ne vide, per entrambi,  i natali ben oltre un secolo fa.  Inutile dirsi che ogni epoca ha il suo stile, le sue modalità, le sue armonie, le sue liriche. Nulla a che spartire con Jovanotti o con Vasco Rossi e  le sonorità di oggi.

Ho pensato: un mondo alieno nello spazio nei social-network, nella dimensione  della piena contemporaneità!

E ancora: il vecchio da una parte  e il nuovo dall'altra?

No, è l'antico che trova spazio dentro il nuovo.  E allora, come coniugare  quelle radici, una storia, il senso di una storia, con un oggi immerso in un mutevole presente, tanto per evocare Zygmut Bauman, teorico – ma quanto c'ha dato – della società liquida,  e senza restare prigionieri del Novecento?

Senza rendercene conto siamo “immigrati” con il nostro bagaglio culturale, con le  nostre abitudini e  consuetudini,  con il nostro smarrimento, nel secondo millennio e viviamo una dimensione di immigrati, (almeno io personalmente, anche per una questione generazionale) e con fatica affrontiamo  il presente confrontandoci con  dinamiche sociali, politiche, istituzionali, e anche relazionali,  che  impongono un passo accelerato alla riflessione.

Nonostante questo si continua -  in maniera testarda - a  usare  categorie politiche (la destra, la sinistra), appiccicare etichette infelici   (laico, religioso), definire contrapposizioni  (l'imprenditore -  l'operaio, il giovane – l'anziano), che da tempo ormai  non sono più grado di leggere correttamente  e coerentemente la contemporaneità, ciò che sta succedendo.

I figli diventano grandi sempre più tardi, i vecchi  sono sempre di più e più vecchi. Alcuni preferiscono definirsi diversamente giovani....

Il  lavoro è sempre più precario, le aziende chiudono, la crisi economica mette a dura prova i bilanci delle nostre famiglie. “Leva e non metti , ogni gran monte ascema” ricorda  con i pensieri della nonna ne “Storia della mia gente” lo scrittore pratese Edoardo Nesi, pensando a come fare ad andare avanti dopo aver abbandonato l'attività imprenditoriale e aggiungendo: …. “finché non mi sono accorto che in questi anni di pura follia economica il non far niente d'imprenditoriale  si è rivelata la scelta imprenditorialmente più giusta. Qualsiasi impresa avessi fatto nascere in questi ultimi cinque anni, oggi sarebbe messa male di sicuro”.

Pura suggestione letteraria? Se ci guardiamo intorno dobbiamo prendere atto che descrive la realtà, dura, mutata, spezzata di oggi fatta di una precarietà che destabilizza ma con cui dobbiamo fare i conti.  A cui non si può ribattere semplicemente con una manifestazione in difesa del  diritto  al lavoro. Perché, se il lavoro non c'è, di quale diritto si parla?

In questa epoca di passioni tristi, la politica, anche localmente, deve fare uno sforzo ed interrogarsi … non possiamo più permetterci di guardare la vita che scorre attraverso lo specchietto retrovisore, dobbiamo  dare un senso a questa storia, alla nostra storia, all'impegno  che vive - comunque - oggi e non può che vivere nell'oggi;  siamo chiamati a vivere il tempo che ci è dato, con tutte le sue difficoltà …. spronava Aldo Moro; e abbiamo il dovere di ricercare il bene comune  pensando  al domani.

Anche le istituzioni sono parte di un cambiamento, spesso non dichiarato ma nei fatti in essere, che ne espone lo stato di crisi.

Le esigenze, le  richieste, le aspettative della gente spesso non hanno lo stesso ritmo delle risposte che fornisce la politica, la pubblica amministrazione. E chi ha consuetudine nell'impegno istituzionale sa quanto sia pesante e grave la situazione.

Con  risorse disponibili sempre più limitate è facile incedere sulla strada dell'indignazione o – peggio - del populismo che dà l'illusione di un benessere immediato a costo zero. Il costo è però solo nascosto o semplicemente procrastinato. Oggi si scopre che ci siamo mangiati il futuro dei nostri figli,  che è anche il nostro futuro.

Rassegnarsi? Neppure!

Né indignati né rassegnati, ma impegnati. Impegnati a  confrontarsi con realismo e a non cedere a illusorie promesse.

Si, impegnati ad abitare le città.

Ne “Le città invisibili” Calvino sostiene che esistono soltanto due tipi di città: “quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare  la loro forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati”.

Impegnati e disponibili a mettere in discussione il nostro individualismo, il nostro particolare,   in un modo di stare che richiede cura  perché ora più che mai nessuno salva se stesso se non salva anche gli altri (Spe salvi),  e dove - come ci ricorda una bella riflessione scaturita dagli Uffici Pastorali della Diocesi di Pistoia  in questi giorni -   La buona politica è una danza, tra debolezza e forza, in cui è il più debole a dettare il passo”.

Nella prossima primavera  ci saranno le elezioni amministrative in alcuni, importanti, Comuni della nostra provincia. Come contributo alla riflessione, mi sono chiesta:  per  cosa, per quale politica, in concreto, potremmo pensare di lavorare?

Ø    promuovere la partecipazione:
Consentitemi una provocazione.  Tutti noi siamo profondamente convinti sostenitori della partecipazione e della sua necessità.
Gli strumenti che si adoperano, di per sé, sono messaggi ben precisi, non neutri,  a cui si affidano delle sorti. Mc Luhan, profondo conoscitore del mondo della comunicazione, ci dice che “il medium è messaggio”.
Consentitemi un invito alla riflessione,  per non incedere nella “mistica dei gazebo”, così magistralmente descritta da chi se ne intende più di noi, sull'ultimo numero della rivista della Fondazione “Italiani -Europei” - Michele Prospero:

 “...le primarie in quanto tali, (e le primarie di coalizione)  non possono divenire un mito e costituire sempre un elemento identificante della bella politica aperta e partecipata. Sono uno strumento, il cui impiego o rigetto è sempre da valutare con le ragioni fredde della politica.

… esse sembrano rispondere a una declinazione leaderistica della politica, che può creare disordine nel rendimento delle istituzioni di rappresentanza”.          

E l'uomo (o la donna) solo al comando, anche senza bisogno delle primarie, abbiamo visto cosa può produrre.  Di altro disordine all'interno delle istituzioni non credo proprio se ne senta il bisogno. Anche se andavano di moda, questa cultura non ci appartiene. Ci sono altre forme, altre modalità per selezionare una classe dirigente.

La crisi della partecipazione è anche profonda crisi dei partiti che hanno smarrito il loro ruolo; incapaci di aprirsi al confronto e stare a fianco della gente.

Ø    Occorre invece valorizzare le assemblee elettive a cui rendere dignità di soggetto con un proprio ruolo e un proprio spazio,  primo luogo deputato ad una reale partecipazione democratica alla cosa pubblica e assumere la trasparenza nella gestione della cosa pubblica come stile dell'azione e cifra della responsabilità che abbiamo verso i cittadini rappresentati.  Che hanno diritto a partecipare alle scelte dell'amministrazione in piena consapevolezza dell'agire.
Ø     Perché allora non  dare impulso alla sussidiarietà, a maggior  valorizzazione  delle risorse presenti sul territorio.
Ø    prendere in esame l'agire dell'Ente in funzione delle competenze,  in una visione di  struttura   leggera, che dia indirizzi e controlli  effettivamente i risultati e non sovrapponga prerogative e funzioni.
Ø    I Comuni  nel corso dei decenni scorsi hanno  vissuto profonde mutazioni  e trasformato fortemente  il territorio. Nelle attuali dimensioni è difficoltoso  assolvere ai compiti a cui sono preposti nelle forme presenti,  e con le risorse a disposizione,  per cui si potrebbero  attivare sinergie per la riorganizzazione, e la gestione  dove non ancora presa in esame, della funzione amministrativa  e dei servizi sul territorio (protezione civile, gestione del personale, polizia municipale) per  determinati uffici a carattere tecnico, anche  in associazione con  gli altri Comuni  sulla base di una visione "leggera" della struttura  che miri a acquisire e valorizzare maggiormente le risorse umane disponibili.
Ø    Assumere la manutenzione e "cura" del patrimonio e delle infrastrutture come  parte importante della valorizzazione delle risorse. La contrazione nella disponibilità di risorse  può essere l'occasione per riscoprire la cultura della manutenzione  scomparsa da anni a forza di rincorrere una visione consumista del fare che somma cosa su cosa e trascura e abbandona il pre-esistente, sia che abbia ancora una funzione oppure l’abbia persa.
Ø    Riflettere sul concetto di sviluppo sostenibile e salvaguardia del territorio fuori dalla visione ideologizzata, miope  e demagogica  degli ultimi decenni che ha portato a "disabitare"  o abitare male il territorio.
Le sfide che ci attendono non è detto che ce le possiamo scegliere. Abbiamo vissuto un periodo di grande frammentazione che ha necessità di trovare nuove forme di ricomposizione. Siamo a solcare un mare che non consente avere la definizione delle sponde come riferimento. Ma dobbiamo avere dei valori di riferimento.
Ma è quanto mai impellente dirci chi siamo: non è detto sia favorevole il vento che gonfia le vele della nave che non sa dove andare.
Faremo nuovi incontri, sarà necessario mischiare le nuove esperienze che faremo o incontreremo. Se riconosciamo che nulla può essere come il nostro prima, non ci resta che lavorare per costruire una prospettiva, e sarà un bel lavoro se  non saremo una somma di persone ma riusciremo a costruire un noi.
Renata Fabbri

3 commenti:

Anonimo ha detto...

che emicrania a leggere questo "zibaldone"; alla fine poi cosa ha detto di Quarrata? nulla. Siate più pratici per favore.

Anonimo ha detto...

Se questa signora deve essere quella che cambia Quarrata prima d'iniziare a capire cosa vuol fare siamo già alla prossima legislatura....

Anonimo ha detto...

Ma la sig.ra Fabbri ha riscritto la "divina commedia"...chissà che sbadigli in sala..ecco perchè la politica diventa noiosa..con stì rotoli del mar morto di scritti ma quanto bla..bla..meno chiacchere da qui in avanti...si vuole e di molti fatti!!! Noi cittadini siamo stufi e ristufi di tanti discorsi...che poi " i dicorsi li porta via il vento" e si riman con l'aria tra le mani!