giovedì 27 dicembre 2012

"Perchè mi candido alle primarie di Sinistra Ecologia Libertà". Eugenio Baronti: "La mia è una politica fatta con spirito di servizio che si coniuga sempre con la passione ideale e la pratica della trasformazione". Il Manifesto politico dell'ex assessore regionale.

 
PISTOIA_Come ricevuto volentieri pubblichiamo un lungo intervento di Eugenio Baronti, candidato alle elezioni primarie di SeL in programma il 29 dicembre in Toscana:
 
 
Non è certo per la mia faccia, che non è più giovane e nemmeno nuova, perchè ho già messo sulle spalle tante primavere di impegno civile e politico.
Lo faccio perché nel campo del centro sinistra oggi abbondano i conservatori abbagliati e intrappolati dentro il pensiero unico liberista dominante che hanno lasciato la loro testa nel novecento e non riescono ad immaginare nessuna alternativa ad un sistema in profonda crisi che rischia di precipitare l’umanità in un disastro sociale e ambientale.

Io non sono un conservatore, non mi appartiene la cultura del tirare a campare, non sono il tipo che si rassegna e si adagia sull’esistente, non mi accontento di gestire l’ordinaria amministrazione; la mia è una politica fatta con spirito di servizio che si coniuga sempre con la passione ideale e la pratica della trasformazione.
Questa crisi non è congiunturale e passeggera, è crisi di un modello di sviluppo e di consumo, socialmente e ecologicamente insostenibile, che sta diventando una vera e propria minaccia per il pianeta, suscitando, soprattutto tra le nuove generazioni, angoscia, incertezza e paura del futuro.
Questa nostra terra, che è l’unica che abbiamo, è sempre più piccola e sovraffollata, non può certo sdoppiarsi e soprattutto non può essere costretta, nemmeno con la violenza degli eserciti, a darci più risorse naturali di quelle che ha disponibili dentro le sue viscere accumulate in miliardi di anni geologici. Il limite della biocapacità del pianeta di autoriprodursi è stato da tempo superato, già oggi viviamo al di sopra delle nostre possibilità, stiamo depredando in modo fraudolento e irresponsabile le future generazioni di risorse che appartengono a loro.
Io penso che niente tornerà come prima della crisi, tutto e destinato a cambiare, siamo chiamati a governare poderosi e complessi processi sociali di portata straordinaria che non possono essere affrontati e risolti con strumenti ordinari, c’è bisogno di un approccio diverso, ci vuole una politica che abbia lo spirito e la curiosità dell’esploratore. Quando tutto intorno a noi cambia a ritmi frenetici noi non possiamo rimanere uguali a come eravamo.
Questa crisi è davvero pesante e l’uomo, individualmente, non può affrontarla in solitudine. E’ necessario ricostruire quelle reti relazionali e solidali di comunità per resistere alla crisi e costruire il futuro.
C’è urgente bisogno di iniziare una paziente opera di bonifica sociale e culturale per rimediare ai grandi guasti prodotti dal Berlusconismo, dal lungo ed inesorabile processo di distruzione del senso di comunità per mettere in piedi percorsi culturali di ricostruzione di senso di responsabilità civica dentro le teste dell’uomo moderno devastate dall’ego individualismo e abituato a sopravvivere nel deserto di relazioni sociali e umane.
Oggi il vero spartiacque della politica è tra chi vuole far sopravvivere questo sistema e si adopera per rimetterlo in piedi con qualche correttivo e chi invece lo ritiene socialmente ed ecologicamente insostenibile e si batte per rimetterlo in discussione, superarlo, aprendo un processo culturale sociale e politico di transizione verso una nuova idea di società.
Le sfide sono quelle di riprogettare e riqualificare i nostri spazi urbani, con un progetto ecologico che rimetta al centro l’uomo, il suo bisogno di relazionarsi con gli altri, la qualità della vita sociale, la sua continuità con la storia, le tradizioni, il paesaggio. Bisogna ripartire da questo grande disordine urbanistico per pensare, e riprogettare le nostre periferie, bisogna prima di tutto umanizzarle, per contrastare questa preoccupante crisi di civiltà.
E’necessario costruire una nuova cultura per un nuovo sistema di mobilità delle merci e delle persone che sappia rimettere in discussione l’attuale modello novecentesco di mobilità fondata tutta sull’auto privata: una testa un’auto, che oltre a rendere irrespirabile l’aria delle nostre città, le congestiona a tal punto che riduce i nostri tempi di percorrenza a quelli dell’uomo che andava a cavallo.
C’è bisogno di avviare una transizione verso un nuovo sistema energetico che progressivamente ci liberi dalla dipendenza dai combustibili di origine fossile sempre meno disponibili e sempre più costosi e pericolosi estrarli. Un nuovo sistema non più dominato da pochi oligopoli ma da una rete diffusa sul territorio di milioni di produttori che si riappropriano del controllo su di un bene comune essenziale per il futuro come è quello dell’energia.
Ridurre le spese militari, annullare l’acquisto di inutili e costosissimi cacciabombardieri F35, contrastare le grandi opere inutili e dannose per indirizzare le risorse liberate per finanziare l’istruzione pubblica, la ricerca, l’Università e un grande programma di manutenzione del nostro territorio sfregiato dalla mano dalla speculazione, creando migliaia di posti di lavoro nel fare prevenzione e ridurre il degrado ambientale, il dissesto idrogeologico di questo paese che, abbandonato a se stesso ci sta rovinosamente franando addosso.
Sul lavoro c’è bisogno di cambiare la nostra pratica e cultura politica. La vera sfida per una forza che vuole fare del lavoro l’orizzonte della propria ragione d’essere e del proprio agire politico, è quella di andare oltre una visione sindacale.
Bisogna imparare a tenere sempre inscindibilmente legati tra loro i diritti, le libertà e la qualità della democrazia nei luoghi di lavoro, con la necessità di avviare un percorso di riconversione ecologica del nostro modello di sviluppo, del nostro modello di consumo e dei nostri stili di vita.
Noi dobbiamo contrastare radicalmente l’idea che la sicurezza, carichi di lavoro, organizzazione produttiva, pause, orario di lavoro, tempi di vita, sia tutto già sovradeterminato e stabilito all’interno di un quadro di compatibilità rigido, imposto da un’autorità superiore, indiscutibile che è quella del mercato globale che domina e regola le nostre vite, e, contestualmente, dobbiamo batterci per cambiare direzione di marcia, per incamminare la politica sulla strada della sostenibilità e di un nuovo modello di sviluppo qualitativo e non quantitativo.
Dentro questo orizzonte c’è bisogno anche di un grande lavoro culturale perché il lavoratore è anche un cittadino, oggi ridotto a semplice cliente e utente, trasformato inconsapevolmente in una macchina di consumo, utile a far girare al massimo e a garantire l’autoriproduzione del sistema di questa inciviltà dell’usa e getta. Processi culturali e percorsi di acquisizione di consapevolezza sono essenziali per recuperare senso critico, autonomia culturale, per liberarci dalla moderna schiavitù del consumo.
Io non sono un conservatore, non perché lo dico, ma per quello che nel mio piccolo ho realizzato quando, per tre anni, sono stato assessore all’ambiente del Comune di Capannori, dove nel febbraio del 2005, iniziai una rivoluzione radicale nella gestione dei rifiuti, trasformando Capannori in un punto di eccellenza nelle politiche ambientali e un riferimento per tutto il paese. Fui deriso da tanti “governisti realisti e responsabili” e considerato un inguaribile acchiappa nuvole, quando aderì, primo comune in Italia, alla strategia rifiuti zero, o quando con ostinazione riuscì a coprire il tetto del Palazzo comunale di pannelli fotovoltaici, o realizzai il progetto della via dell’acqua pubblicizzando e recuperando le fonti storiche presenti sul nostro territorio rendendole fruibili per tutti.
Non sono stato un conservatore nemmeno quando ho fatto l’assessore in Regione Toscana entrando in contrasto persino con certi spiriti conservatori che albergavano anche nella mia casa politica di allora.
 
Molti ci dicono che stare dentro la coalizione di centro sinistra ci porterà fuori strada e finiremo per omologarci e snaturarci. Il rischio c’è e ne sono consapevole, però io non riesco a vedere niente fuori da questa coalizione che, per dimensioni e forza, possa autonomamente incidere sui processi politici reali.
 
Da soli non possiamo farcela a costruire risposte o trovare soluzioni a queste grandi sfide epocali. Sinistra Ecologia Libertà ha scelto come suo atto di nascita, tratto fondante della sua identità, di uscire fuori dal recinto della marginalità politica in cui senza volerlo la sinistra ha finito per richiudersi.
Io voglio stare dentro il gorgo degli accadimenti storici e non sulla sponda ad osservare il flusso delle vicende politiche che hanno sfigurato e rischiano di portare alla rovina questo nostro paese.
Siamo parte di un popolo più grande pieno di contraddizioni con cui però vogliamo e possiamo interagire, perché siamo parte di loro, per cercare di invertire la rotta. Essere innovatori oggi significa mettere al bando ogni forma di minoritarismo sterile e adottare una cultura politica maggioritaria che si candida al governo del paese e a porsi come guida di un nuovo centro sinistra che sia all’altezza delle sfide nuove di questo ventunesimo secolo.
Non è più tempo di ciarlatani o di urlatori che si riempiono la bocca di buone intenzioni ma chiedono e pretendono sempre dagli altri, ed escludono sempre se stessi da ogni dovere di responsabilità civica e morale. Una rivoluzione culturale deve passare anche dentro la nostra testa, se si vuole essere convincenti e portatori di speranza di cambiamento.
In questo paese è più che legittimo essere arrabbiati ed indignati per tutto quello che sta succedendo, ma con la rabbia distruttiva dell’antipolitica non si ricostruirà niente, non si sposteranno di un solo centimetro le posizioni di potere, di privilegio e di iniquità acquisite. Sono sincero, io incomincio ad essere insofferente e riesco a sopportare sempre meno questo ossessivo, diffuso piagnisteo collettivo, il lamentarsi generalizzato contro tutto e tutti. Non sopporto più questo piangersi addosso in cui tutto viene accomunato e condannato senza possibilità di appello finendo per assolvere solo se stessi.
Sono quanto mai attuali le belle parole di Antonio Gramsci quando scrisseio odio gli indifferenti”: anche a me da fastidio il lamento piagnucoloso dei sempre eterni innocenti, che non si interrogano mai sul cosa ognuno di noi ha fatto per non meritarsi questa impresentabile ed odiosa classe dirigente che io ritengo sia lo specchio che rappresenta un popolo che ha smarrito senso civico e responsabilità sociale, capacità di ascoltarsi, confrontarsi e di costruire percorsi di cambiamento collettivi.
 
Esiste un paese migliore!! Restituiamogli rappresentanza politica e la giusta posizione che merita. Se condividi la sostanza di questo mio manifesto politico chiedo il tuo voto per darmi l’opportunità di battermi per queste idee e per questi obiettivi programmatici.
 
Eugenio Baronti

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